mercoledì 13 febbraio 2013

Il mio gruppo

(by Massimo Enzo Grandi)

un vademecum per i principianti

COSA VOGLIAMO E PERCHÈ

Fare musica, chi in un modo e chi in un altro, può essere semplice o meno. Ma chi o cosa ci spinge ad insistere in questo campo?

Alcuni di noi sono stati spinti già in giovane età dai genitori a frequentare corsi dei più disparati strumenti o di canto, altri invece si sono trovati magnetizzati dal loro strumento ed hanno fatto di tutto per riuscire a suonarlo, sia frequentando dei corsi che esercitandosi da soli in casa, il fatto è che ora ci si trova in un mondo dall'aspetto magico, dove ci sentiamo "grandi". Abbiamo delle aspirazioni, ci troviamo con gli amici a suonare in continuazione, a creare i nostri brani, a discutere (animatamente o meno) tra di noi su cosa ognuno intende dire con il gruppo. Il fatto di essersi già trovati significa che ci sono delle basi in comune, e più forti sono queste basi più il gruppo può sopravvivere.

L'aspirazione ci porta a sognare un palco con un pubblico entusiasta, il discografico che ci produce e promuove, e, come cigliegina il nostro cd in bella mostra sugli scaffali dei migliori negozi con tanto di interviste radiofoniche, televisive e sulle riviste specializzate.

L'emozione delle nostre prime registrazioni caserecce. L'euforia di poter disporre di un mixer, di alcuni effetti e di un registratore abbastanza buono ci fa' sentire sulla buona strada. La nostra compagna di scuola ci viene a sentire nel garage dove proviamo. Ne è entusiasta e la volta dopo viene con altre sue amiche che a loro volta portano altri amici. Ci si sente importanti, si suona qualche brano, si conoscono meglio le ragazze o i ragazzi, ci si fuma magari anche qualche spinellino e si comincia a sentirsi sempre più importanti. Si suona godendo nel sentirsi dire "bravi" dagli altri.

Stiamo crescendo, ormai abbiamo tutti un lavoro (beh, non proprio tutti) e continuiamo a trovarci e a suonare.

Ecco che in quel locale danno la possibilità a gruppi sconosciuti di salire sul palco, ci si precipita a capo fitto, non si sa mai che è la volta buona, dobbiamo riuscire ad imporci perché noi "semo er mejo", "the best".

Finalmente il fatidico giorno! Siamo tutti molto emozionati per il nostro debutto ma cerchiamo di nasconderlo persino a noi stessi. Carichiamo i nostri strumenti e via, verso il nostro futuro...

Mentre piazziamo la strumentazione ci accorgiamo che mancano alcuni cavi e il panico comincia ad avere il sopravvento:

"Perché non l'hai preso?"

"Non posso mica fare tutto io!"

"Adesso vai a prenderlo!"

"No ci vai tu!"

... si litiga un po' tra noi finché qualcuno non si decide ad andare a prendere sti maledetti cavi.

Eccoci pronti al Sound Check ... non abbiamo capito bene se il "tecnico" (se così si può chiamare) ha afferrato cosa vogliamo. Che Dio ce la mandi buona (in certi momenti ci vuole anche lui).

Cerchiamo di far passare il tempo in attesa dell'esibizione, chi bevendo qualcosa al bar e chi invece fuori dal locale a fumarsi un pacchetto di sigarette guardando "l'orizzonte" con la speranza di vedere autobus carichi di pubblico o la macchinona con autista di qualche pezzo da novanta.

"Ragazzi, si comincia" dice il tecnico.

Il batterista è al bar e avvisa il chitarrista che a sua volta chiama il chitarrista/cantante che è andato in bagno, il bassista è già sul palco...

Qualcuno dice:

"No ma aspetta un attimo che c'è poca gente, vedrai che tra un attimo arrivano anche gli altri..."

Il tecnico ci concede ancora cinque minuti nei quali ne approfittiamo per strofinarci ancora un po' la nostra ragazza che è in estasi per noi.

I cinque minuti sono passati, il tipo ci richiama e noi ci avventuriamo il più piano possibile al nostro posto tenendo d'occhio l'entrata con la speranza di vedere entrare ancora altra gente... In fondo siamo un po' delusi, ci saranno si e no una trentina di persone, una decina sono i nostri amici, gli altri sono semplici avventori abituali e il personale del locale.

Il primo brano lo facciamo che fa' schifo, siamo troppo emozionati, ma per fortuna ci arriva un applauso e questo ci scioglie abbastanza per affrontare gli altri con un po' più di decisione. Ci guardiamo con la coda dell'occhio e intanto cerchiamo di capire, a fatica, il pubblico che rimane nascosto dalle luci che ci vengono sbattute negli occhi.

In sala c'è movimento, gente che entra ed esce, gente che se ne sta' lì a parlare come se non ci fossimo, altri che ci guardano a bocca aperta, qualcuno balla anche.

La serata è conclusa, i nostri amici ci circondano a farci i complimenti e ci si rilassa un po' dalla fatica seduti al tavolino e bevendoci una bella birra mentre il personale annuncia il coprifuoco del locale e gli avventori se ne tornano a casa.

Smontiamo il tutto e intanto ci facciamo i nostri commenti:

"Non sentivo la chitarra in quel passaggio"

"Hai saltato quel pezzo dove io poi entro con l'assolo"

"Sei riuscito appena in tempo a correggerti"

"C'era poca gente ma hanno apprezzato la nostra musica".

"Certo che ora per andare avanti dobbiamo trovare altri locali che ci diano anche un cachet, per noi è un forte impegno abbinare il lavoro in ditta e la musica, abbiamo bisogno di una strumentazione più seria, dobbiamo trovare il modo per fare solo musica e poter vivere di quello, guarda i gruppi famosi che guadagnano una barca di soldi... "

"Hai ragione, e che c..., se ci vogliono devono pagare!"

"Ho sentito che al gruppo X un tipo gli ha pagato lo studio di registrazione in America compresa la trasferta e il soggiorno"

"Possibile che queste cose capitano solo agli altri?"

...

Cosa sta' succedendoci? E' bastata una esibizione in un locale qualsiasi per farci credere di essere un Supermegaextragruppo, ci siamo spremuti il cervello per settimane per trovargli un nome che sia il più stravagante possibile (a volte anche impronunciabile) e guai se qualcuno osa proporcene uno nuovo, siamo convinti di esserci fatti un sedere così per diventare quello che siamo ed è anche giusto che adesso si cominci a vedere entrare il controvalore delle nostre fatiche, è ora che qualcuno si accorga di noi...

... Ma il tempo passa e non succede niente...

I locali e gli organizzatori che abbiamo contattato non ci rispondono o ci dicono di no. Le uniche serate che riusciamo a fare sono in questi locali che mettono a disposizione gratuitamente il palco ma nessuno ci contatta a fine concerto per proporci una registrazione spesata allo studio di XY o in qualsiasi altro.

Abbiamo registrato una demo con l'otto piste di Tizio e ne abbiamo spedita una copia a vari produttori discografici e le risposte sono sempre negative o altrimenti ci mandano il loro listino prezzi per la stampa di un numero tot di cd che poi dobbiamo arrangiarci noi a promuovere, distribuire e vendere.

I manager ci rispondono che sono già occupati con altri gruppi e di farsi risentire tra qualche anno; agenzie di Booking non ne esistono in Ticino, e con quelle oltre Gottardo la maggior parte delle volte non si riesce neanche a capire cosa rispondono.

È perché siamo ticinesi?

È perché non abbiamo le conoscenze giuste?

È la sfortuna che ci perseguita?

È perché gli operatori del ramo hanno la puzza sotto il naso e ci snobbano?

Dovevamo fare la demo in uno studio professionale?

Vediamo di ripercorrere un attimo queste piccole tappe del nostro ipotetico gruppo.

Potrebbe sembrare tutto normale, ma ci siamo dimenticati di attenerci alle condizioni che tutti i big, chi più chi meno, hanno seguito. Sono veramente casi eccezionali quelli in cui tutto fila per il suo verso senza delle piccole regole base, e non solo per quello che concerne la musica.

Facendoci un piccolo esame dobbiamo prima di tutto stabilire il nostro personale contatto con la musica, se riusciamo ad intenderla veramente come cultura o esclusivamente come un affare economico. Nessuno sa suonare bene uno strumento da subito, si comincia con esercizi continui che spesso sono fastidiosi, poi si scopre che non si finirà mai di farli. È sbagliato anche smettere di frequentare i corsi di musica dove ci fanno suonare quello che vogliono loro e come vogliono loro, giunge sempre il momento dove ci serve quello che non abbiamo voluto imparare, perdendo tempo si arrischia poi di perdere delle occasioni anche uniche.

Posso dire quindi che la prima regola è la serietà del musicista singolo, con serietà non intendo fare musica seria, bensì farla seriamente!

Cerchiamo di non dedicarci alla musica solo perché, un domani, possiamo abbandonare il nostro lavoro che ci pesa in modo paradossale; facciamolo perché ci piace, perché lo sentiamo veramente dentro; non diamo retta a chi ci dice "bravi!" mentre suoniamo in garage o in cantina. Non dimentichiamo che chi ce lo dice può farlo (in buona fede si intende) per motivi diversi da quelli che noi pensiamo; la ragazza del batterista lo potrebbe dire perché il batterista è il suo "vero grande amore", la ragazzina a cui nessuno bada lo potrebbe dire per attirare almeno un po' d'attenzione su di sé, il tipo sempre "fuori" lo può dire perché per lui anche il gesso che stride sulla lavagna ha il suo fascino o per non dire chi, purtroppo, viene alle prove solo per evadere dal mondo esterno e a cui, in fondo, non gliene frega un tubo se suonate Bach o Nirvana o chicchessia. Quindi meno persone avete attorno e più riuscite ad essere voi stessi, con le vostre paure, le vostre ansie, le vostre certezze.

E questa è la seconda cosa importante, essere obbiettivi ed autocritici; è purtroppo facile, infatti, lasciarsi condizionare da estranei incompetenti, lo vediamo tutti i giorni e in qualsiasi campo e senza che ce ne rendiamo conto.

Solitamente nel gruppo si è principalmente amici e può essere facile quindi che non si ammetta il poco impegno o la mancanza di una buona tecnica di un componente. Il fatto di volergli bene non ha niente a che vedere con quello che stiamo facendo, se lui ne vuole a noi non potrà averne a male se lo richiamiamo o se, in casi estremi, lo allontaniamo dal gruppo; è importante, quindi, che si discuta spesso sul cosa si vuole ottenere a livello musicale (nel senso del concetto del gruppo) e come riuscire ad ottenerlo. Capita sovente che ci si trova con la stessa musica ma con ideologie diverse ed inespresse che disgregano il gruppo stesso quando vengono portate a galla, quindi è meglio chiarirsi l'uno con l'altro il più presto possibile per evitare che venga rotta un'amicizia (che in fondo è la cosa più importante) dopo anni di collaborazione.

Come terzo punto, dunque, la sincerità verso i "soci".

Ci vogliono purtroppo delle regole da autoimporsi, ci vuole un'organizzazione ben definita in modo da non trovarsi in cinque a stabilire cinque diverse "scalette" e nessuno che si preoccupa del controllo delle apparecchiature, del pagamento delle bollette, della eventuale corrispondenza, della cassa, della pulizia della testina del registratore... la scaletta può essere modificata in base alla necessità durante la prova stessa o del concerto, ma il cavo o la presa che mancano al momento di piazzarsi sul palco, lo sfratto dal locale o la mancanza di fondi per una banale riparazione, sono un vero e proprio disastro. Stabiliamo dunque in modo chiaro e definitivo la proprietà e il valore di tutto il materiale di cui disponiamo, organizziamoci affinché ognuno possa avere un suo preciso compito oltre a quello di musicista, può sembrare banale ma anche solo il fatto di organizzare i turni per scopare per terra il garage (o la cantina) o fare la polvere al mixer, serve al gruppo per crescere insieme, a non trovarsi un domani a litigare e recriminare: "Però io ho sempre....".

Se poi il "locale" si trova in casa di uno del gruppo perché non possiamo permetterci o non troviamo un posto adatto dobbiamo fare in modo di ringraziare spesso lui e la sua famiglia per l'opportunità che offre e, soprattutto, rispettare chi abita con lui (genitori ecc.): potranno rivelarsi preziosissimi alleati.

E questa è la quarta situazione necessaria: la persona giusta al posto giusto nel momento giusto.

Tutti cominciamo suonando "cover", se però abbiamo una piccola idea di composizione musicale ci daremo da fare per fare solo ed esclusivamente brani nostri, per mostrare cosa veramente sappiamo fare. Ci troviamo poi ad insistere su questi nostri pezzi in cui crediamo e, sul palco, dimentichiamo tutto il resto; dimentichiamo anche che non sempre chi ci ascolta riesce a definirci come noi crediamo di essere!

Molti pensano che eseguire "cover" sia una condizione di comodo da non accettare, che bisogna abbattere, non si rendono però conto che un brano musicale qualsiasi, sia famoso o no, è un'espressione del nostro sentimento più profondo e che il riproporlo sotto un diverso modo di "sentire" può darci un'approccio più facile con il pubblico o con gli operatori del ramo i quali riusciranno poi ad apprezzare maggiormente i "nostri" brani.

Rendiamoci conto che, volenti o nolenti, ricalchiamo esattamente un determinato stile musicale già esistente, non stiamo assolutamente facendo niente di nuovo o di eccezionalmente particolare! (se non fosse così mandatemi subito una demo). Credere che si tratti di qualcosa di nuovo per il semplice fatto che si usa un suono di batteria “diverso” non è particolarmente logico.

Noi possiamo, anzi dobbiamo credere in quello che stiamo facendo ma non dobbiamo pretendere che anche gli altri ci credano. Già noi stessi non acquistiamo tutti i dischi che troviamo ma facciamo delle selezioni ben determinate, e questo non vuol dire che gli altri non valgono niente!

Se per esempio vi capitasse di venire in possesso delle risposte che ricevettero i Beatles dalle case discografiche (indipendentemente dal fatto che vi piacciano o meno o che sappiate chi sono o cosa hanno suonato durante il loro "tempo") dopo che avevano inviato un loro nastro demo, potreste anche capire che non sempre le critiche negative sono giustificate, che il tutto si muove solo su una questione di preferenze, che se la nostra musica è vera e sentita troverà quasi da sola la strada giusta. Come editore sono il primo a rallegrarmi del meritato successo di un gruppo o di un cantante, sia che questo pubblichi un disco con la mia etichetta o con qualsiasi altra.

Questa quinta considerazione è relativa al ridimensionamento della nostra euforia, possiamo esserlo ma verso noi stessi e non pretenderla dagli altri

A quanti concorsi musicali, nazionali e internazionali, abbiamo assistito? Che rabbia che noi non c'eravamo! Invece di lamentarci andiamo avanti con il nostro lavoro di musicista, cioè esercitandoci ancora di più per poter migliorare. Se invece vi partecipiamo, e forse lo vinciamo anche, non vuol dire che noi siamo già arrivati, per niente! Dov'è la casa discografica che ci ingaggia sui due piedi coprendoci d'oro e di concerti e ci fa' diventare delle vere Star?

Il fatto di essere un musicista serio vuol dire cercare il successo a tutti i costi o continuare ad essere semplicemente (semplicemente non è in questo caso una cosa piccola) un artista?

Una casa discografica è principalmente un'industria, un'industria è una parte del commercio, il commercio sta' in piedi con i soldi e i soldi fanno gola purtroppo a troppa gente che non investe in una cosa se questa non gli porta altri soldi.

Quanti dei nostri più intimi amici sono disposti a darci in mano lo stipendio di un mese ( o anche meno) perché gli piace come suoniamo?

Cosa c'entra con la musica? C'entra per il semplice fatto che la musica nasce dal cuore del musicista e spesso rischia di morire sul tavolo di persone che ascoltano con il portamonete anziché con il cuore e la mente, o anche perché l'artista perde fiducia in sé stesso; d'altro canto il discografico che riesce ad ascoltarla nella sua essenza non sempre riesce a portare avanti il discorso; anch'egli trova un'infinità di barriere strutturali, anche economiche, che rendono molto difficile far conoscere lo spirito musicale di un'opera alla grossa fetta di pubblico interessato, il quale, con l'acquisto del disco, permetterebbe al musicista di crearne sempre di nuove, con la speranza naturalmente che quest'ultimo non si lasci abbagliare dallo scintillio del guadagno facile e si dimentichi del suo continuo crescere e maturare.

D'altro canto la casa discografica, intendo del primo tipo che ho descritto, gestisce un prodotto che viene acquistato e venduto, paga 500 per vendere a 1000, è un sistema imposto dal mercato, e per essere sicuro di poter vendere a 1000 il tutto dev'essere come viene richiesto dal grosso del pubblico, per questo esigono quello che loro vogliono dal musicista, lo affidano al loro produttore per arrangiare, modificare, o addirittura rivoluzionare i suoi brani; senza scendere a compromessi che ci fanno male possiamo almeno valutare seriamente, con obiettività se ne abbiamo veramente bisogno o meno, nessuno di noi è perfetto purtroppo. Certo che quando assumono dei promoter che ci curi il look, o, come spesso può accadere, ci fanno anche preparare i testi delle interviste o, nei casi estremi, fanno rilasciare false dichiarazioni per montare una campagna pubblicitaria gratuita – che si ripercuote anche in modo esagerato sui giornali che le pubblicano facendo loro aumentare le tirature (inutile citare esempi in merito) – allora dobbiamo essere duri e dire NO.

Non è facile stabilire chi agisca bene e chi no, nessuno lo può dire con certezza perché chi agisce male lo sa fare in modo sottile e ben nascosto (e di solito possono permettersi gli avvocati migliori che conoscono tutte le scappatoie per legalizzare l'illegale).

Guardiamo i divi già arrivati e chiediamoci se sono soddisfatti principalmente per la loro arte o se lo sono solo per l'agiatezza economica che hanno raggiunta e che, spesso, si è rivelata distruttiva della loro stessa vita; se noi prendiamo queste ultime come esempio per la nostra carriera non stiamo certamente facendo musica ma stiamo solo inseguendo beni materiali che potrebbero, sì, farci comodo ma che possono distruggere quello in cui abbiamo creduto e di cui ci siamo dimenticati cammin facendo, faremo quindi meglio a piantare lì tutto e andare (non prendetemi però sul serio) a fare rapine che tanto è lo stesso.

Chiunque lavora principalmente per sé stesso, non è assolutamente una cosa brutta o una questione di egoismo, e tutti, bene o male, lo facciamo.

Il sesto punto ci dice di non pretendere nulla da nessuno, di non demoralizzarsi se non si ottengono subito dei riconoscimenti, ma soprattutto cercare di capire dove un consiglio disinteressato e dove invece è un compromesso a favore di persone false ed arriviste.

Quando il lavoro (se così si può chiamare) è un'espressione artistica di qualsiasi genere, bisogna rendersi conto che è oltresì una realizzazione che non è richiesta appositamente da qualcuno, ma è un nostro bisogno interiore che ci spinge a creare l'idea del nostro sentimento.

Sappiamo benissimo che ci sono molte cose al mondo che non vanno; se vogliamo cambiare qualcosa, nel modo di essere dell'umanità, usando la nostra musica, dobbiamo anche essere in grado di farlo. Per questo è importante avere le idee in chiaro, rendersi conto che come musicisti che calcano un palco influenziamo, volenti o nolenti, le persone che ci seguono. Se diamo loro rabbia riceviamo rabbia, se diamo loro dolore riceviamo dolore, se diamo loro violenza riceviamo violenza e se diamo amore riceviamo amore.

Per questo fatto si è discusso e se ne discute ancora molto a livello mondiale, vi è senz'altro noto delle accuse a gruppi Hard Rock /Heavy ecc. che si ritiene incitino al suicidio o cose simili... un mio parere personale in proposito è che purtroppo esistono molte persone che sono prive di una propria personalità e che si lasciano influenzare troppo da certi discorsi, certi messaggi, o certi testi di canzoni, quindi anche una sola vita che si spegne per qualcosa che io possa aver detto o fatto è, oltre ad un fatto deplorevole che mi segnerebbe per tutta la vita, un modo sbagliato di lottare contro delle ingiustizie, delle situazioni; vuol dire che sto sbagliando io perché non ho ottenuto ciò che volevo, bensì l'opposto perché mi si rivolterebbe tutto contro. Devo quindi fare in modo di non aggredire una situazione ma invece devo circuirla, devo proporne l'alternativa, se scrivo un brano dove sono circondato da un buio opprimente o dalla violenza è perché queste cose sono dentro di me, e se tutti ascoltano il mio pezzo peggiorerei la situazione circondandomi da altre persone vuote, sempre più deboli e andrebbe a sparire la speranza di cambiare qualcosa.

Per questo, se sono stressato, cerco di ascoltare musica rilassante; se sono cupo e arrabbiato cercherò di ascoltare musica allegra e vivace... la musica ha un potere di coinvolgimento con cui non bisognerebbe scherzare; per esempio a me non piacciono i ritmi "do brasil", non mi sognerei mai di comperare un disco simile, però immancabilmente mi ritrovo a tamburellarne il tempo con il piede o con le mani quando vengono trasmessi alla radio! Non trovate che potrei anche ritenere questo fatto una forma di violenza sulla mia volontà?

Non serve dire che il mondo è cattivo se continuo a punzecchiarlo, la logica mi dice che devo dimostrargli che esistono altre possibilità, poi, forse, cambia! Nessuno ci impone di creare un brano musicale o di suonarlo in un modo o nell'altro... rendiamoci conto che però noi diamo qualcosa a chi lo ascolta e, purtroppo, di violenze ce ne vengono già date fin troppe e da tutte le parti.

Se dovessi ricevere una cassetta dove qualcuno canta in modo convincente che nessuno capisce cos'è la musica, che c'è la corruzione nel mondo discografico, direi "Ha ragione", butterei la cassetta nella pattumiera e me ne andrei a vivere in un bosco da eremita .... Se invece con la stessa base musicale viene descritta la bellezza di quest'arte mi sentirei realizzato e valuterei il tutto sotto un altro aspetto.

Quindi evitate che chi vi ascolta si senta un verme, un debosciato, una nullità, dategli una possibilità di sopravvivenza. I veri vermi vanno semplicemente evitati, non posti al centro dell'attenzione.

Questo settimo punto quindi lo posso riassumere con una frase, rubata in un certo senso al fu presidente Kennedy:

Non chiedetevi cosa può fare la musica per voi ma chiedetevi cosa potete fare voi per la musica!

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